UN FINE SETTIMANA IN SARDEGNA

La nostra banca non ha un nome altisonante come: Chase Manhattan Bank, o Deutsche Bank, ma si chiama solo "Credito Cooperativo del Friuli Centrale " e non è poco. Ne è passata di acqua "sót dal puint de Lavie" da quel lontano giorno del 17 aprile 1906, quando un gruppo di pionieri fondò la "Cassa Rurale di Risparmio" in aiuto alle masse contadine che si erano da poco associate nel locale "Circolo Agricolo" con l'intento di evitare le grinfie degli usurai. La nuova realtà fece passi da gigante, fino a che nel 1938 il nome cambiò  in "Cassa Rurale e Artigiana" rappresentata dall'emblema caratteristico che la distingueva: lo stemma ovale del favo con le due api operaie, il suo autore, maestro d'arte, Luigi Zugolo, ultraottantenne, tuttora vivente, giorni fa mi ricordava benissimo questi eventi.

 

          Ma torniamo al presente, "Viaggio in Sardegna" questa è l'offerta fattaci dal nostro istituto di credito, alla quale aderiamo immediatamente, anche se per i miei gusti avrei preferito gli scavi di Pompei dell'anno scorso, ma ahimé lo venni a sapere solamente a lista già completa.

 

 

... alle 10.05 atterriamo ad Alghero ...

          Alba di Venerdì 3 Maggio 1996, "al sglavine a sêlis". Alle cinque e un quarto esatte una Opel verde chiaro si ferma davanti al nostro cancello, è Cotaldo, mio cognato, "un Codut traplantât a Martignà", sempre puntualissimo come un orologio svizzero, il quale ci prende a bordo assieme alle valigie e ci scarica di fianco all'autopullmann, già quasi pieno, che ci porterà  all'aeroporto di Ronchi. Sorpresa per l'autista "Une valîs cule cotule, le prime c'ò viôt!".  La Fidelma sempre previdentissima considerando l'acquazzone, ha infilato la "baligia", in una capace borsa di plastica, lasciando libera solo la maniglia, "e cal plovi tant c'al ûl !". All'aeroporto facciamo conoscenza con la nostra accompagnatrice, Sonia, del Fogolâr viaggi. originaria di Martignacco, che si è dimostrata subito all'altezza della situazione. Alle 7.05 in perfetto orario il DC 9 ci porta in un paesaggio irreale, in meno di dieci minuti, sole e cielo azzurro, mentre sotto di noi un bianco mare di ovatta.

 

          A Roma non piove più, meno male. Dopo una quarantina di minuti, un aereo identico al precedente ci porta verso la seconda isola italiana per ampiezza territoriale. Alle 10.05 atterriamo all'aeroporto di Alghero, dove troviamo bel tempo. Prendiamo posto sul nostro autopullmann e conosciamo la nostra guida locale, Anna, che si dimostra subito simpatica e competente.

          Siccome a queste latitudini le camere d'albergo non sono disponibili prima delle 17.00, il nostro autista Salvatore ingrana la marcia e d’ora in poi ci scorrazzerà, allegramente avanti e indietro fra Barbagie, Supramonti e Gallure. Dopo un paio di chilometri passiamo nei pressi di Fertilia, una ridente cittadina in riva al mare, edificata nel 1936 da coloni provenienti da Rovigo e dalla Dalmazia, quest'ultima in quel periodo apparteneva ancora all'Italia. Qui c'era una zona paludosa e malsana, ma questi pionieri la bonificarono creando un vero paradiso terrestre.  Dopo una mezz'ora scendiamo per visitare il villaggio nuragico "Palmavera", il quale è costituito da vari edifici riportati alla luce nel 1970. Il nuraghe principale è pressoché integro nella sua struttura originaria a pianta circolare in calcare bianco risalente al 1500 a.C., mentre tutto in giro si vedono i resti degli edifici più piccoli. I preistorici costruttori di queste antiche testimonianze si servirono della  pietra del posto, che in tutta l'isola è abbondante. La tecnica usata era la sovrapposizione di grossi blocchi a secco formanti una torre cilindrica, con numerose varianti, ma tutte a forma troncoconica. Certamente non avevano raggiunto la raffinatezza tecnica dei costruttori egizi, i quali già un millennio prima avevano costruito le piramidi. Questi monumenti protostòrici, tipici della Sardegna danno il nome al periodo della Civiltà Nuragica che va grosso modo dal 1800 a.C. e termina nel 235 a.C. In tutta l'isola attualmente si contano  circa settemila nuraghi. La nostra Anna, fra gli altri ragguagli storici, ci descrive una pratica oltremodo crudele, in uso a quei tempi: le persone malate di mente, considerate pure di spirito, venivano sistematicamente immolate in sacrificio ai loro dei.

 

... Il nuraghe principale ...

          Lasciamo i nuraghi, io particolarmente a malincuore perché avrei desiderato approfondirne di più la conoscenza, e ci dirigiamo verso la costa nordoccidentale. Ci colpisce il poco traffico sulle strade, peraltro ben tenute. Arriviamo a Punta Giglio. La vista del mare con la spiaggia incontaminata è una cosa meravigliosa, l'acqua limpidissima permette di vedere i fondali a profondità inimmaginabili. Solo in certe isole del Mar Egeo ho visto qualcosa di simile, il tutto in una cornice naturale di una flora costiera sconosciuta sulle nostre spiagge.

 

          Proseguiamo sulla strada litoranea fino a Capo Caccia dove, come da programma, si dovrebbe visitare la famosa "Grotta di Nettuno", ma anche qui, come quasi in ogni viaggio che si rispetti, un diavoletto deve metterci la coda. Le abbondanti precipitazioni degli ultimi giorni hanno alzato il livello dell'acqua, per cui il battello non può entrare se non con grave rischio e pericolo "pai furláns, che cjalin cui voi languorôs, lavie, chel zòndar, che el paron dai márs Nettuno, o Posidon pai  grécs, ur á improibît di la a viodi". In compenso siamo saliti sul punto più alto del promontorio dove si gode una vista panoramica spettacolare, su un mare limpido da cui spuntano degli speroni rocciosi. Il più grande è l'isola Foradata con il famoso "salto della suocera" a picco sul mare, un salto che la dice lunga sulle povere e bistrattate genitrici delle sposine. Il significato di "Foradata" è roccia forata: in questa zona il sottosuolo è composto da pietra carsica.

 

          Verso le 13.00 rientriamo ad Alghero dove al ristorante "La Lepanto", facciamo una scorpacciata di pesce, una vera sinfonia gastronomica dei migliori prodotti ittici. In chiusura un gradevole digestivo a base di Mirto. A cuochi e camerieri il massimo dei voti.

 

          Riprendiamo il nostro viaggio, ora andiamo al nord verso la Nurra. Nei paesi di Olmeto a una quindicina di chilometri da Alghero, attraversiamo una zona agricola a cultura intensiva, Sella Mosca, sono 700 ettari di vigneto impiantato da un piemontese durante il secolo passato, da cui si ricavano dei vini pregiati come il Rosé ed il Porto. Le viti sono coltivate basse come in Spagna ed in Sicilia. Fa un certo effetto a noi che siamo abituati a vedere "les nestris spalêris", belle alte con i grappoli a portata di mano per la vendemmia, viceversa qui le vendemmiatrici, poverine, devono curvarsi come per la raccolta delle patate.

 

          Eccoci di nuovo in vista del mare, siamo a Porto Torres, la Turris Libisonis romana, centro di 15 mila abitanti, qui attraccano i traghetti da e per Genova e Tolone. Da qui la vista spazia su tutto il golfo, partendo a sinistra dall'isola dell'Asinara, da cui il golfo prende il nome, fino in fondo a destra sulla rocca di Castelsardo.

 

... l'isola Foradata con il famoso ...

          Ora stiamo percorrendo di nuovo la strada costiera. Ad un certo punto, su indicazione di Anna, al largo riusciamo a scorgere la Corsica anche se leggermente coperta dalla foschia. Il mare, non mi sembra superfluo ripeterlo, è bellissimo, queste fra l'altro, sono acque pescosissime con una ricca varietà di fauna ittica, comprese le aragoste. Ora siamo in provincia di Sassari che come superficie è la più vasta d'Italia.

 

          Dopo una ventina di minuti che viaggiamo nell'entroterra, fra il verde della vegetazione rotto qua e la da vaste macchie gialle di ginestre e mimose, ci fermiamo per ammirare un'opera d'arte costruita dalla natura. Sulla nostra sinistra vediamo già da lontano, stagliato sull'orizzonte, un'enorme elefante in trachite, della famiglia dei porfidi, completo di proboscide alzata, come in un atto di sfida alle leggi della statica. Qui il sottosuolo è costituito da porfidi e graniti, perciò in zona vi sono varie cave di questi materiali.

          Eccoci arrivati alla meta di oggi: Castelsardo, la cittadina è abbarbicata su di un promontorio roccioso, in riva al mare, da cui si gode una bella vista panoramica. Dopo una lunga scarpinata, con il fiatone, arriviamo in cima, dove c'è l'entrata al castello, costruito nel 1448 dagli Aragonesi, ora adibito a museo, che purtroppo non possiamo visitare perché ci manca il tempo. Le stradine in pietra sono quasi tutte a gradoni, più o meno ripide, ogni tanto qualche negozietto di souvenir, il paesino è senza pretese, ma distribuito con garbo e pulito. Entriamo a visitare la cattedrale del XI sec., in origine gotica, rimaneggiata nel XV sec. in romanico. All'interno un affresco rappresenta il Cristo Pantokrator, coevo al primo periodo dell'edificio.

 

... l'elefante di trachite ...

          Completato il "giro di boa", c'incamminiamo per il ritorno, non senza ammirare dal basso le antiche mura e gli  spalti della rocca, contornati da splendidi giardini fioriti come se tutto fosse spuntato da un tocco magico di una fata innamorata in un giorno di primavera. Nel rientro attraversiamo la zona industriale di Porto Torres, ora il traffico stradale è decisamente aumentato. Per rompere la monotonia della strada, all'interno dell'autopullmann si rincorrono lazzi, frizzi e barzellette.

 

          Siamo di nuovo ad Alghero, il Salvatore ci sbarca in centro dove la nostra Anna ci fa un compendio storico-artistico della cittadina, lasciandoci liberi per una mezz’ora, poco per conoscere un po' la città del nostro primo impatto con l'isola. Appena in tempo per qualche foto, e solito lamento di Fidelma "No puéss viodi nancje une vetrine!".

 

          Due parole su Alghero: la città è affacciata sul golfo omonimo con i suoi 23 mila abitanti, è una frequentata stazione turistica estiva. Fondata nel 1100 dai Genovesi, nel 1353 passò sotto la dominazione spagnola fino al 1720, anno in cui arrivarono i Savoia. Tuttora la gente parla un dialetto catalano. Purtroppo anche in questa città come in altre zone della Sardegna, oltre ai soliti problemi da risolvere, c'è quello grave della rete di approvvigionamento idrico che è inquinata.

 

          Finalmente verso le 19.00 possiamo prendere possesso delle nostre stanze e rinfrescarci un po'. L'albergo è il "Calabona", situato a pochi minuti dal centro, sorge vicinissimo al mare in una zona tranquilla ed incantevole. la cucina del ristorante è ottima ed abbondante. Al nostro tavolo c'è una simpatica coppia di insegnati di Rive d'Arcano, che ci fa compagnia, lui conosce Martignacco più di me, anche perché io ne sono rimasto lontano per 35 anni. La direzione dell'albergo, per festeggiare il nostro arrivo, ha organizzato una festa da ballo dopo cena, ma io personalmente preferisco il letto,  anche perché questo è l'orario per prendere gli appunti della giornata, che poi a casa con calma daranno vita a questi ricordi, cosa che peraltro ho sempre fatto in tutti i viaggi, più o meno bene. Ma, ahimé appena entrati in camera una brutta sorpresa, la parete di testa del nostro letto comunica direttamente con la batteria dell'orchestrina che fa danzare dall'altra parte i nostri compagni di viaggio. Loro si divertono, ma da noi il ritmo tremendo dei bassi fa tremare anche le lampade: "non c'è pace fra gli ulivi, pardon, fra le coperte". Complice di tutto ciò anche la parete divisoria che separa il reparto camere da letto e il bar-dancing, esile e senza isolazione acustica. Le abbiamo provate tutte, dalla reclamazione alla direzione, al cuscino avvolgente la testa a mo’ di casco fonoassorbente, come facevo quando la nostra primogenita ci faceva passare le notti in bianco e non taceva neanche a "nicá le scune" e quando Fidelma stanca di tirare la cordicella s’appisolava, allora la piccola furba s'alzava e mi consegnava il cappio, dicendo in stentato ma perentorio friulano: "papà níce". La cordicella galeotta andava avanti e indietro sul ventre "de Stefanute" come una sega che non taglia, ma tiene svegli. "No sta ridi Gloria". Anni verdi che non tornano più.

 

          Fra le cento camere di tutto l'albergo ci doveva capitare proprio questa. Una volta si diceva scalognati, oggi si dice sfigati. Imprevisti che bisogna accettare serenamente, sono compresi nel biglietto.

 

 

 

... eccoci arrivati a Castelsardo ...

          Sabato 4 maggio, sveglia come il solito alle 6.30, una bella doccia ci rimette a nuovo. Esco sull'ampio terrazzo per scrutare il tempo, il cielo è carico di "nuvoloni neri che vanno pel cielo in ronda come carabinieri" questa  non è roba mia, ma un lontano ricordo della terza elementare. La cappa pesante di nubi si riflette sul limpido specchio d'acqua dell'ampia piscina di fronte a noi.

 

          Appena il tempo di fare la prima colazione, che già si sale a bordo del nostro autopullmann, ma con una sorpresa: quelli che ieri occupavano i primi sedili, invece di cedere il posto avvicendandosi a quelli dietro, come è consuetudine durante i viaggi in comitiva, qui i furbi tengono sempre i primi posti con una logica tutta italiana. Pazienza!

 

          Oggi si va nel cuore della Barbagia. Questo nome fu coniato dagli antichi romani, gli abitanti di questa zona rimasero refrattari alle loro leggi, perciò li chiamarono barbari, da cui Barbagia.

 

          Stiamo costeggiando un tratto della ferrovia e giustamente uno della comitiva con molta perspicacia osserva che il passo delle rotaie è più stretto del normale, pronta l’Anna a rivelarci che in tutta l’isola la rete ferroviaria è a scartamento ridotto, “come le nestre vacje di San Denêl <di perdoni> ”. Una novità che la maggioranza dei presenti ignorava.

 

          Passato Olmedo sulla destra c’è una cava di bauxite, la zona è ricca di questo minerale da cui si estrae l’alluminio. Incrociamo i resti dell’acquedotto romano che andava da P. Torres a Sassari, fenomenali questi costruttori di duemila anni fa, le loro testimonianze si possono economica per la Sardegna. Queste colline troncoconiche che ci circondano sono tutti dei vulcani spenti, perciò la vegetazione è più lussureggiante che altrove. Qui si allevano cavalli di varie razze, anche per il palio di Siena, mentre passiamo si scorge qualche esemplare che scorrazza al largo. Ora si fanno più fitte anche le greggi di pecore al pascolo, con il cane che spadroneggia ai bordi della mandria. Il patrimonio zootecnico di questa specie supera i tre milioni di esemplari nell’isola. Passiamo vicino al nuraghe di S. Antine, molto ben conservato, peccato che il tempo tiranno non ci permetta di visitarlo. Stiamo attraversando un altopiano, il bosco s’infittisce, oltre ai sugheri ora ci sono frequenti esemplari di tasso, una pianta delle ere primitive, sopravvissuta grazie al clima mite dell’isola, mentre sul continente questa pianta è scomparsa con il susseguirsi delle varie glaciazioni che qui non sono arrivate. La fonte è sempre la nostra inesauribile Anna e sempre da lei veniamo a sapere che la raccolta del sughero avviene ogni 9-12 anni, secondo il tipo di pianta e della formazione del terreno.ancora vedere in tre continenti. Passiamo nei pressi di quest’ultima città, che è la seconda per abitanti e per importanza di tutta l’isola.

 

          Entriamo in una superstrada che ci porterà a Nuoro. In questa zona fra la vegetazione si cominciano a scorgere le querce di sughero, che sono un importante risorsa

 

          Verso le 10.00 arriviamo a Nuoro, 40 mila abitanti, è una graziosa cittadina, ai piedi del monte Ortobene. Le sue origini sono nuragiche, come il nome stesso lo indica. Come da programma visitiamo subito il museo delle tradizioni popolari. All’uscita qualche mugugno di disapprovazione. Dire che non ne valeva la pena, si direbbe una cretinata, perché una visita museale è sempre un fatto di cultura, qualunque sia il contenuto, però la maggioranza ha avuto la delicatezza di fingere interesse, così verso la guida abbiamo salvato la faccia. Più tardi veniamo a sapere che il museo storico-archeologico locale è interessante, perché fornito di testimonianze e reperti archeologici che partono dalla preistoria pre-nuragica in avanti. “Ecco un’ottima occasione persa” commentiamo assieme alla coppia di Rive d’Arcano. Pronta la logica risposta della nostra guida. “Non si può accontentare tutti”. Giusto. Non possiamo dimenticare il personaggio più illustre di Nuoro: Grazia Deledda, premio Nobel della letteratura nel 1926, autodidatta, la sua forte anima poetica fece si che i critici l’accostarono ai grandi scrittori russi del suo periodo. Deceduta nel 1936, le sue spoglie sono raccolte in un sarcofago di granito nero nella basilica della Solitudine, una chiesa scarna ed anonima, forse un po’ poco per un premio Nobel.

Nel silenzio della penombra, mentre guardo i caratteri bronzei che compongono il suo nome, mi torna in mente il ricordo di una sua opera, da cui mi risuona la frase che Efix rivolge ad Ester: “Siamo canne e la sorte è il vento!”.

 

... arriviamo a Orgosolo ...

          Come tutte le guide, in tutti i viaggi di comitive, anche la nostra Anna ci porta in una specie di bazar, croce dei mariti e delizia delle signore. Qui c’è di tutto, merce a profusione: merli e merletti, cassette e cassepanche, orecchie e orecchini, si avete letto bene, orecchie artificiali con appesi gli orecchini in mostra. Come le altre donne “ancje le Stefanute” viene colpita dal vortice comprereccio o più attuale, consumistico. Il corallo sta esercitando il suo effetto ammaliante, ma come sempre la mia dolce metà è scossa da un tremendo dubbio amletico: orecchini o spilla. Guarda e riguarda, pensa, ripensa, prova e riprova, il marito comincia a sbadigliare e a guardare nel vuoto, fuori campo, all’ultimo momento la grande decisione: la spilla. “Bellissima” faccio “in dut el Friul non d’è une compagne” anche se avevo visto poco prima una signora della nostra comitiva che ne aveva acquistata una uguale. Anche i pescatori di corallo devono vivere no...?!!!

 

          Lasciamo Nuoro e ci addentriamo nella Barbagia Ollai. Il paesaggio cambia poco, nei pochi spazi dove la macchia cede il posto al prato la frequenza delle greggi al pascolo si fa più accentuata. “Puesc di partigjans chei cà” fa una voce dietro di noi, gli rispondo “Certo che la conformazione del territorio è dalla parte della tristemente famosa Anonima Sarda, la quale da filo da torcere alle forze dell’ordine” “Io, un rimedio sicuro ce l ‘avrei”, replica lui, “dato che il fatidico nemico all’Est non c’è più, perché non si vuotano le nostre caserme e si portano qui alpini e paracadutisti, questo è il nostro nemico da combattere”. E come si fa a dargli torto.

 

          Intanto, dopo un percorso in salita con vari tornanti arriviamo a Orgosolo, una caratteristica cittadina a cavallo di un crinale, da cui si dominano le due vallate circostanti. Attraversiamo tutto l’abitato e ci inoltriamo per qualche chilometro nel Supramonte, con strade non tanto agevoli per il nostro mezzo, ma suggestive ed in mezzo al verde, fra quercie di sughero e arbusti di mirto. Questa pianta è un sempreverde molto frequente sull’isola, che produce delle bacche aromatiche da cui si estrae il liquore omonimo. Il mirto nell’antica Grecia era una pianta sacra dedicata a Venere.

... i murales di Orgosolo ...

          Ad un certo punto il Salvatore ci scarica e  dopo un tratto a piedi ci appare una costruzione rustica e sul piazzale antistante degli uomini indaffarati attorno a uno spiedo piuttosto primitivo, intenti ad arrostire della grossa selvaggina. Lo spettacolo è suggestivo, antiche immagini che ora si vedono solo raramente, le facce degli uomini arrossate dal fuoco, il profumo del bosco, che si mescola con l’acre odore della carne arrostita. Sono i pastori che ci preparano un pranzo tipico barbaricino, il loro capo è Pietro Menne, veniamo accolti con grande festa e subito ci offrono l’aperitivo a base di “filu veru” una forte grappa locale. La loro intenzione era di farci mangiare all’aperto, sarebbe stato stupendo, ma purtroppo il tempo minaccia acqua e così dobbiamo adattarci all’interno, disposti su due lunghi tavoli già imbanditi. Antipasto a base di prosciutto e insaccati vari, in seguito delle porzioni mastodontiche di porchetta incrociata con cinghiale, una prelibatezza; pastasciutta, formaggio pecorino, dolce casereccio sardo, arance del posto, vino padronale, grappa a volontà e caffè. In seguito un coro, i “Cantores” vestiti con i loro costumi caratteristici, ci cantano dei pezzi del loro ricco repertorio, di cui uno , Anna  ci fa la traduzione, parla di un pastore che fa la dichiarazione alla sua ragazza, ma non può darle che l’ovile, le pecore, il fucile e il suo amore. La cosa più straordinaria è che quasi sempre, soggetto, parole e musica, vengono improvvisati di volta in volta, con un effetto sorprendente. Nonostante fosse tutto incluso nel prezzo, si decide di raccogliere fra noi qualche cosa per dimostrare il nostro apprezzamento. Accettano la mancia quasi a malincuore, perché per loro l’ospite è sacro.

 

          Finale con acquisto delle formagelle di pecorino genuino, il pastore addetto allo smercio, ha dovuto correre due volte a fare il rifornimento al deposito, fino ad esaurimento della scorta. Durante il rientro poi, l’odore caratteristico del pecorino si propagò in tutto il pullman, dando ragione al pastore venditore, che poco prima ad una signora che gli chiedeva cosa si poteva fare per eliminare quel forte odore delle formaggelle, rispose con la particolare cadenza sarda: “Mangiarlo bisogna”. Sarà una delle più belle esperienze di tutto il viaggio, forse perché abbiamo vissuto una dimostrazione di ospitalità spontanea, che solo gente semplice può dare, aggiungi il tutto in una cornice naturale incontaminata.

 

... pranzo tipico barbaricino ...

          Al rientro ci fermiamo ad Orgosolo per una breve visita. La notorietà che ha fatto conoscere questo centro sono i famosi “murales” che decorano le facciate delle case, alla cui esecuzione hanno contribuito anche pittori e poeti famosi, fra i quali anche padre Turoldo, i quali si sono ispirati generalmente a motivi impegnati come la lotta al razzismo, allo sfruttamento delle masse nel terzo mondo e all’inquinamento ecologico del pianeta. Si vedono poche donne in giro, quasi tutte vestite di nero nel loro vecchio costume, con lo scialle in testa e le gonne lunghe, mentre gli uomini spadroneggiano sulla via principale. Mi avvicino ad un gruppo di anziani , dopo i saluti uno di loro mi chiede da dove veniamo, avutane risposta, aggiunge a bruciapelo “Hai votato pure te per Bossi?” alla mia risposta  negativa le facce si sciolgono in un impercettibile sorriso. Incoraggiato chiedo “E voialtri?”, mi risponde sempre il primo interlocutore “Noialtri sempre a sinistra votiamo”. Poi seppi che era il padre di un consigliere comunale, e che il sindaco è una donna. Man mano che s’andava avanti con il discorso diventavano sempre più loquaci, fino a scivolare sul fenomeno del banditismo. Ed ecco il riassunto del loro discorso: “Voi che abitate in Continente, lontano da noi, dovete capire una buona volta che la stragrande maggioranza della popolazione sarda non ha niente da spartire con quelle miserabili carogne”. Mentre mi parlano, guardo le loro mani bruciate dal sole e consumate dal duro lavoro. “Sono d’accordo con voi lavoratori pensionati di Orgosolo”, nel salutarli stringendo le loro ruvide mani, stringo le mani di tutta la Sardegna che lotta per un avvenire migliore. Mentre sto scattando una foto a una casa caratteristica, la moglie mi avverte che sulla porta socchiusa c’è una vecchietta con il costume caratteristico, la quale fa cenno di rientrare. Mi avvicino e dalla porta socchiusa la saluto e le chiedo il permesso di riprenderla assieme alla sua bella casa, lei schermendosi mi fa: “A 81 anni non si fa più foto” io la prego facendole capire che non sono un giornalista in cerca di scoop, ma un pensionato come lei, allora accetta a patto di mandarle una copia. Dopo aver scattato la foto ci fa un sorriso melanconico e si ritira delicatamente nell’ombra. Non mancherò certo di spedirle la foto appena sviluppato il rullino.

 

... i murales di Orgosolo ...

          Nel tardo pomeriggio lasciamo Orgosolo per il rientro in albergo. Qui in Barbagia, ci informa Anna, fra la numerosa fauna stanziale c’è anche l’aquila reale ed il falco pellegrino, il quale come si sa detiene il primato di velocità fra i volatili.

 

          Strada facendo carichiamo un personaggio particolare: Marco, guida turistica, amico di Anna e Salvatore, gran parlatore, barzellettiere e venditore di fumo, fa parte di quella categoria specifica che ti vendono, come faceva Totò, di volta in volta la Fontana di Trevi, il Vesuvio ed in questo caso non mi meraviglierei se ci offrisse per una modica spesa un nuraghe completo con il terreno circostante, talmente forte è “le sò bátule”. L’atmosfera a bordo è esplosiva, le sue barzellette dominano la scena e ci fanno ridere di gusto. In questo momento di stanca ci voleva un personaggio simpatico, con il fare più da napoletano che da sardo.

 

          La cena, sempre al ristorante del “Calabona” come il solito ottima e abbondante con delle portate che non finiscono più, fino ad essere costretti al rifiuto a malincuore. Ma perché ora, che non si può, “ne mangja né bevi” ci troviamo davanti tutto questo ben di Dio, che non c’era sulle nostre tavole durante l’adolescenza, proprio quando la fame era tanta “che o varés mangjât ancje claus”, “mame ce isal ancjmò di mangjà”, “Par usgnót niâtri”, rispondeva la povera donna col cuore gonfio per non poterci sfamare. In quegli anni di miserie, quando non c’era niente da mettere sotto i denti e di conseguenza le mascelle rimanevano forzatamente inoperose, rincorreva la frase, “Si met i dinc sule grátule”. Il nostro Elio Bartolini nelle sue recenti “Poesis protestantis” mette giustamente a fuoco la realtà odierna, contrapponendola al nostro passato “Nutella, formagjnos, bananutis e patatine pai; ma le fan, che di un volte, dulà ise, dulà el sò glóti....” : però c’era anche il lato positivo, colesterolo? mai sentito nominare.

 

          In sala da pranzo conosciamo una giovane coppia, squisita e disponibile. I signori Moroso, lui è il direttore della banca organizzatrice del viaggio e fratello di Vittorio, un mio amico e coetaneo, mancato purtroppo anni fa. Dopo cena, il tempo variabile con forte tendenza al brutto ci impedisce purtroppo di uscire.

 

 

... nel loro vecchio costume, con lo scialle in testa e le gonne lunghe ...

          Domenica 5 maggio, solita sveglia alle 6.30 le nubi del giorno prima, durante la notte si sono scontrate con il bel tempo e hanno vinto loro. “Al sglavine a sêlis” è la cattiva nuova che do alla Fidelma appena richiusa la finestra, lei non si cura tanto di questa realtà, perché intenta a rifare le valigie, operazione esclusivamente sua, il povero marito serve solo per il “klik” della chiusura. Allora silenzio e lasciamola lavorare. Esco furtivamente dalla camera, è ancora presto per la colazione, nella penombra della Hall scorgo tre uomini, al primo colpo d’occhio, due sulla ventina e l’altro sulla soglia degli “anta”, mi sembrano in tenuta da pesca. Rivolgendomi al più anziano dei tre, dico: “Brutta giornata oggi per andare a pesca”, mi guarda di brutto e risponde: “Caro signore non siamo pescatori, siamo della polizia, mi fa con l’aria un po’ indignata, come l’avessi sottovalutato per averlo considerato un semplice pescatore. Cerco di correre ai ripari, scusandomi, scaricando la colpa del malinteso, alla semioscurità del corridoio e alla foggia dei loro indumenti impermeabili. Ecco che tutto si chiarisce, fra un’ora circa parte da qui una gara in salita di macchine sportive e prototipi, loro poveretti fra mezz’ora devono entrare in servizio lungo il percorso, perciò hanno indossato quella specie di scafandro. Rotto il ghiaccio il capo mi chiede da dove veniamo, quando ha saputo che siamo friulani è tutto felice, perché 20 anni fa fu in servizio nelle zone terremotate di Artegna e Gemona, e racconta ai suoi subalterni le esperienze vissute durante quel periodo, facendo le lodi alla gente friulana. Poi in ultimo mi fa: “Mi deve capire a quel tempo avevo vent’anni, e poi le donne friulane, che donne!” nel frattempo erano arrivati anche i ritardatari, fra tutti saranno stati una quindicina di agenti. Il capo mi saluta “Mandi furlán” con forte accento meridionale, e ad un suo cenno tutti lo seguono fuori, sotto il diluvio.

 

          Oggi ci spostiamo dalla costa occidentale a quella orientale. Alle 8.00 tutti puntuali siamo già a bordo, Anna e Salvatore ci accolgono freschi e pimpanti, ma noi non siamo di meno, nonostante alla partenza stia imperversando l’acquazzone, ormai abbiamo fatto l’abitudine. Rifacciamo un pezzo di strada che abbiamo percorso ieri, ad un certo punto tagliamo sulla destra ed entriamo in Gallura. Questa parte del nord della Sardegna è stata possedimento dei Visconti, uno di questi aveva per stemma un gallo, da qui il nome di Gallura.

 

          Finalmente cessa di piovere. Ora il bosco di sughero si fa più fitto. Ad un certo momento sulla nostra destra  in mezzo ad un vasto pianoro, ai nostri occhi si presenta la famosa chiesa della S.S. Trinità di Saccargia, del 1116 in romanico-pisano a conci bianchi e neri, corsati. Mi ricordo ancora la pianta per averla disegnata in china nei  minimi particolari, al Malignani. Anni verdi. Quante volte  ce l’ha declamata il nostro professore di storia dell’arte, a vederla scorrere via come un miraggio impossibile,  averla qui a pochi metri e dover rinunciare alla sua visita, è come m’avessero rubato qualche cosa che mi apparteneva. Mi rivolgo alla guida, la quale poverina non può farci niente, manca il tempo, il programma è ferreo e non si può trasgredire. Un mio amico Bepi Blasin, che l’anno scorso ha visitato la Sardegna  in 10 giorni, quando ha saputo che la nostra permanenza  sull’isola è di soli 3 giorni, mi ha silurato: “Tu sês màt di leà, no son robis di fa”, “Bepi tu vevis resón”.

 

... ma io ho un progetto nel cassetto e chissà...

          Ad un certo punto un cartello sulla sinistra segna Tempio Pausania, in seguito possiamo vederlo in lontananza su di un altopiano in direzione Nord-Ovest. Dopo qualche chilometro sulla sinistra c’è il monte Limbara da dove si cava il granito omonimo molto usato per opere monumentali e rivestimento nell’edilizia. La strada continua a tagliare impietosamente le estese foreste di sughero che coprono monti e valli, escludendo i paesi che sarebbe interessante conoscere. Dopo mezz’ora entriamo in un’ampia vallata ricoperta di vigneti “di Vermentino di Gallura” un bianco DOC, caratteristico di queste zone.

          Verso le 10.00 arriviamo ad Olbia, ridente cittadina sul Golfo degli Aranci, con porto di mare. Alle sue banchine approdano i vari traghetti che collegano l’isola con il “Continente”. Abbiamo mezz’ora per il caffè e scattare qualche foto, ma io ho un progetto nel cassetto e chissà ...

 

          Ci dirigiamo immediatamente alla ricerca del traghetto per Caprera, fin da bambino ho sognato di visitare la storica isola rifugio di Garibaldi e poter vedere la casa ed i cimeli dell’Eroe dei due mondi. Era per me un pellegrinaggio dovuto a ricordo di un grande che ha portato la sua lotta ovunque dove c’era gente oppressa dalla tirannide. Ma purtroppo alla biglietteria del Traghetto la doccia fredda: per l’andata, visita e ritorno ci vuole quasi la giornata intera. Il mio progetto si  è rivelato una pia illusione. Visitare l’isola, rientrare, raggiungere la nostra compagnia verso le 15.00 al ristorante con un taxi, magari saltando il pranzo. Un’utopia! Per fortuna, di questo progetto, non ne parlai ad Anna, Salvatore e Sonia, altrimenti m’avrebbero riso in faccia. Aveva ragione “le Stefanute” a non crederci. Ma la vita è fatta anche di sogni non avverati, l’importante è sognare diceva un filosofo.

 

          Olbia, che conta 26 mila abitanti è un importante centro storico, fondata dai greci nel 6° sec. a. C., in seguito occupata dai Cartaginesi, nel 4° sec a. C. passò ai Romani. Durante gli scavi archeologici d’inizio secolo furono ritrovati vari reperti fra cui un famoso vaso d’argento dorato risalente al 3° sec. a. C., mi ricordo di averlo visto all’Ermitage di Leningrado.

 

          Il cielo plumbeo è come una spada di Damocle sulle nostre teste, ma confidiamo in Giove pluvio che ci risparmi la doccia fuori programma. Lasciamo Olbia e percorriamo la litoranea sulla Costa Smeralda che si presenta ai nostri occhi pittoresca e suggestiva con le sue insenature frastagliate sul mare limpido incastonato nel verde smeraldo della vegetazione, con le villette in sobrio stile locale, quasi nascoste fra giardini fioriti e la rigogliosa flora mediterranea. Vaghiamo un po’ per Porto Rotondo, nella baia di Capriccioli e a Porto Cervo il quale è inserito in un ampio parco di ginepri e mirti, questi arbusti crescono nei punti più impensati, perfino sulle scogliere di granito rosso che spuntano dal mare. “Chei cá e son puésc nome par siorons” si sente una voce nel nostro gruppo, io ci rifletto su e penso, noi non saremo signori nel senso che intende il nostro amico, ma “e sin siors” perché, siamo esenti dalle grosse e costanti preoccupazioni dei “signoroni” e nonostante ciò, la nostra condizione di pensionati vicini al 70 esimo anniversario ci permette di spostarci liberi da un punto all’altro del globo e ammirare queste bellezze della natura senza l’assillo ed i problemi del “potere”, cosa chiedere di più, solo che quello sopra di noi ci lasci la salute.

 

... Porto Rotondo ...

          Il cielo da plumbeo s’è fatto grigio, speriamo bene. Andiamo a pranzo a qualche chilometro nell’entroterra, al ristorante “Alla Mola”, pulito ed in amena posizione. Il cibo come sempre ottimo ed abbondante, a base di pesce con un’infinita varietà di scelta, innaffiato con il famoso “Vermentino” già menzionato. Un cameriere a cui faccio i complimenti per il vino mi risponde: “Ho fatto il militare a Udine e conosco bene il vostro Tocai che gli sta alla pari”. Annuisco, ma non gli dico che il nome del nostro prestigioso bianco, dopo una annosa diatriba giudiziaria con l’Ungeria, saremo costretti a cambiarlo. Ora a poco tempo dalla scadenza del termine, non è stato ancora trovato un nome adatto in sostituzione.

 

          Verso le 15.00, purtroppo inizia il rientro, e riprende a piovere. Alla Tele di bordo stanno trasmettendo il gran premio di formula 1 dal circuito di Imola. La maggioranza dei gitanti è con gli occhi sul piccolo schermo, anche perché con l’acqua che viene giù  c’è poco da guardare fuori dai finestrini. Così tutte le nostre speranze sono riposte nella rossa di Maranello che riesca a spuntarla sulle altre. Fino qui “alles in Ordnung”, ma il bello viene quando stiamo attraversando un zona in cui la ricezione tele è scarsa ed il nostro Salvatore, fin qui ottimo pilota, che ti fa ? Con la sinistra al volante e la destra al telecomando, con l’occhio sinistro sulla strada e il destro sullo schermo alla ricerca della giusta sintonizzazione, per un po’ continua questa solfa, con strada tutta curve e l’acquazzone che imperversa. Allora raccogliendo i reclami sussurrati  dai presenti non ce la faccio più  a trattenermi : “Salvató sei stato ineccepibile fino a un momento fa, ora vuoi diventare un pericolo pubblico con il telecomando?” Resosi conto, passa l’aggeggio a Sonia e tutto rientra nell’ordine preesistente. La gara termina: 1.a Williams, 2.a Ferrari. Già che siamo in tema, una cosa che disturba la vista, e non solo quella, sono le carcasse delle auto che ogni tanto vediamo, abbandonate, sventrate ed arrugginite in giro nelle campagne fra il verde, sono come un pugno negli occhi, vedere questi residui dell’era moderna, deturpare questo bel paesaggio dalla natura incontaminata. Quanti anni dovranno passare ancora, perché le masse si rendano conto che deturpando l’ambiente deturpano se stessi?

 

... Porto Cervo ...

          Stiamo per terminare, questo ahimé troppo breve soggiorno in Sardegna ed ecco velocemente il sunto delle spiegazioni di Anna. Del popolo sardo non è ancora chiara l’origine, si sono trovati resti di culture neolitiche, in seguito con l’età dei metalli fiorì la tipica civiltà nuragica. Verso l’ottavo sec. a.C. vari gruppi di popoli punici s’insediarono nelle zone costiere dove fondarono Cagliari, Nuoro e porto Torres. Nel 236 a. C. indebolitasi Cartagine in seguito alla 1.a guerra punica, Roma ne approfitta e occupa l’isola per 9 secoli, verso il 6 sec. d. C. goti e Longobardi prima , Arabi e Bizantini poi, infestarono per secoli le coste, mentre nell’entroterra ebbero importante sviluppo le repubbliche marinare di Genova e Pisa. A complicare le cose c’era di mezzo il papato che per  una concessione di Carlo Magno pretendeva una propria sovranità sull’isola. Ma nel 1297 il papa Bonifacio VIII intransigente sostenitore del primato temporale dei papi, non per niente Dante lo pose nell’”Inferno” tra i simoniaci XIX, 53, cedette l’isola agli spagnoli, i quali rinforzarono il potere feudale trapiantando nel territorio la nobiltà catalana, la quale portò fra l’altro il dispotismo e lo sfruttamento verso le popolazioni. Nel 1718 i Savoia presero possesso dell’isola. Dopo lo scoppio della rivoluzione francese i fermenti e le rivolte del popolo fecero vacillare il vecchio feudalesimo ma bisognerà attendere fino al 1835 quando Carlo Alberto abolì finalmente tutti i diritti feudali. Il resto è storia odierna con la nascita della regione autonoma. La lotta alla disoccupazione e al banditismo, finora con effimeri risultati. Le vicissitudini dei sardi continuano con la protesta disperata dei lavoratori del SULCIS in un'area già pesantemente penalizzata dalla crisi industriale e mineraria. Gli operai incatenati sulla ciminiera a 258 metri non chiedono sussidi o aiuti finanziari,  ma chiedono ciò che è un loro sacrosanto diritto, sancito dalla nostra  costituzione: il lavoro. Il secondo grave  problema dell'isola è il banditismo dell'anonima sequestri,  quando alla nostra brava Anna chiesi quante persone sono attualmente sotto sequestro, mi rispose che sono SOLO tre, ma anche se fosse solo una, sarebbe una vergogna nazionale: l'anno scorso facemmo il giro della Sicilia in otto giorni, della nostra comitiva faceva parte anche una signora che aveva avuto una terribile esperienza di essere rimasta sotto sequestro per 4 mesi nel 1992, proprio ad Olbia dove risiedeva con il marito notaio. La povera donna aveva ancora i segni alle caviglie, lasciatigli dalle catene. Ma quello era il meno, il peggio era lo sconvolgimento psichico e psicologico che l'aveva talmente prostrata che ancora a quasi due anni dal fatto faceva pietà a vederla. I medici avevano consigliato al marito di farla viaggiare, ma sempre in mezzo alla gente e quella era la prima volta che usciva di casa, così forse poteva riprendersi.

 

          Avendo vissuto 35 anni in Svizzera, rientrato da qualche anno a godermi la quiescenza dopo 46 anni di lavoro, dico che l'Italia prima di fregiarsi del nome di nazione progredita, deve risolvere i problemi delle 'ndranghete, mafie, anonime sarde, e delle micro criminalità giornaliere, che non ci fa sentire sicuri neanche in casa nostra.

 

          Ma per questa regione c'è anche una buona notizia, verso i primi di giugno, ho letto sul "Corriere della Sera" che nel cagliaritano una compagnia australiana ha scoperto un giacimento aurifero a cielo aperto. Deve essere una cosa seria, perché uno dei maggiori azionisti è la banca Rothschild. Se son rose fioriranno.

 

... cibo come sempre ottimo ed abbondante, a base di pesce con un’infinita varietà di scelta, innaffiato con il famoso “Vermentino” ...

          Intanto ha smesso di piovere, arriviamo all'aeroporto di Alghero di nuovo con il cielo “fumo di Londra”. Salutiamo i bravi Salvatore e Anna, quest'ultima nello stringermi la mano mi dice. “Grazie Nobile per le sue numerose richieste d'informazione" Cara Anna  se non ti avessi  importunata con le mie domande come facevo a riempire questi fogli?

 

          Nella "hall" dell'aeroscalo, come il solito  Fidelma non resiste al richiamo consumistico delle vetrine e così via all'assalto delle ultime bottiglie di "Mirto" e altre cianfrusaglie. "Pai frús che an bisugne, puarins!" Il solito DC 9 ci stacca dal territorio sardo, dall'oblò vedo Alghero e il suo mare che s'allontana sempre più, mentre veniamo inghiottiti dalle nere nubi. Un assistente di volo "romanaccio" ci chiede di dove siamo, avutane risposta aggiunge: "Votato Lega?", (ma ce l'hanno proprio con me i mangia Bossi ?!), rispondo "No, ma non si preoccupi quella parte dei miei conterranei che ha votato lega non accetteranno mai che l'Italia diventi una seconda Iugoslavia !". Rassicurato dalle mie garanzie verbali, mi fa le lodi della gente friulana, con quanta sincerità non lo so.

 

          Dopo 40 minuti di volo a Roma troviamo finalmente il sole. Qui i gruppi si dividono, anziché via Ronchi prendiamo per Venezia, misteri delle agenzie, comunque dal Marco Polo a Martignacco c'è  il pullman che ci porta a casa, tutto secondo programma ed in perfetto orario.

          Con grande gentilezza il sig. Moroso e signora ci offorno un passaggio con la loro auto e ci lasciano sulla porta di casa nostra.

 

          Della gita ho già detto tutto.

 

          Ora vorrei esprimere la mia gratitudine ai lettori che pazienti sono arrivati fino in fondo a queste mie quattro righe senza pretese, viceversa quelli che non ce l'hanno fatta, perché colti dalla noia o peggio dal sonno, lungi da me il condannarli, spero sempre di poter scrivere meglio la prossima volta.

 

          Un grazie come al solito a Marco per le correzioni e Jean Claude per l'impostazione grafica e stampa.